Giuseppe Gioacchino Belli - Citazioni
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Giuseppe Gioacchino Belli (1791 - 1863), poeta romano.
- Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l’indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene un'impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza. (dall'Introduzione alla raccolta dei sonetti)
- Io nun vojo più guai: me chiamo gesso / cor una mano scrivo e un'altra scasso. (dai Sonetti)
- Panza piena nun crede ar diggiuno.
- L'innocenza cominciò cor prim'omo, e lì rimase.
- [Il sesso] Er più mejo attrezzo / che fece Gesucristo ar padr'Adamo. (da L'ordegno spregato nei Sonetti)
- Non faccio per vantarmi, ma oggi è una bellissima giornata.
- Bada, nun biastimà, Pippo, ché Iddio / è omo da risponne per le rime.
- Pe una meluccia, ch'averà costato mezzo baiocco, stamo tutti a fonno.
- Doppo ch'Adamo cominciò co Eva / tutte le donne se so' fatte fotte. (da Chi risica rosica nei Sonetti)
- Er tempo, fija, è peggio d'una lima. Rosica sordo sordo e t'assotija, che gnisun giorno sei quello di prima. (da La monizzione nei Sonetti)