Giovanni Verga - Citazioni

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Giovanni Verga
Giovanni Verga

Giovanni Verga (1840 - 1922), scrittore italiano.

  • A chi vuol bene, Dio manda pene. (da I Malavoglia)
  • Ad albero caduto accetta! accetta! (da I Malavoglia XV, 197)
  • Chi cade nell'acqua è forza che si bagni.
  • Chi pratica con zoppi all'anno zoppica.
  • Chi va col lupo allupa.
  • I vicini devono fare come le tegole del tetto, a darsi l'acqua l'un l'altro.
  • Il matrimonio è come una trappola per topi; quelli che son dentro vorrebbero uscirne, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.
  • 'Ntrua, 'ntrua! ciascuno a casa sua! (da I Malavoglia)
  • Sì, Milano è proprio bella, amico mio, e credimi che qualche volta c'è proprio bisogno di una tenace volontà per resistere alle sue seduzioni, e restare al lavoro. Ma queste seduzioni sono fomite, eccitamento continuo al lavoro, sono l'aria respirabile perché viva la mente; ed il cuore, lungi dal farci torto non serve spesso che a rinvigorirla. Provasi davvero la febbre di fare; in mezzo a cotesta folla briosa, seducente, bella, che ti si aggira attorno, provi il bisogno d'isolarti, assai meglio di come se tu fossi in una solitaria campagna. E la solitudine ti è popolata da tutte le larve affascinanti che ti hanno sorriso per le vie e che son diventate patrimonio della tua mente. (Lettera a Luigi Capuana, 5 aprile 1873)
  • Sicché quando gli dissero che era il tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: "Roba mia, vientene con me!"
  • Suocera e nuora nella stessa casa sono come due mule selvatiche nella stessa stalla.
  • Tu hai bisogno di vivere alla grand'aria, come me, e per noi altri infermi di mente e di nervi la grand'aria è la vita di una grande città, le continue emozioni, il movimento, le lotte con sé e con gli altri, se vuoi pur così. Tutto quello che senti ribollire dentro di te irromperà improvviso, vigoroso, fecondo appena sarai in mezzo ai combattenti di tutte le passioni e di tutti i partiti. (Lettera a Luigi Capuana, 13 marzo 1874)
  • Uomo povero ha i giorni lunghi. (da I Malavoglia)

Indice

Incipit di alcune opere

Eros

Verso le quattro di una fra le ultime notti del carnevale, la marchesa Alberti, seduta dinanzi allo specchio, e alquanto pallida, stava guardandosi con occhi stanchi e distratti, mentre la cameriera le acconciava i capelli per la notte.
"Che rumore è cotesto?" domandò dopo un lungo silenzio.
"La carrozza del signor marchese."
"Cosí presto!" mormorò essa soffocando uno sbadiglio.

Cavalleria rusticana

Turiddu Macca, il figlio della gnà Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso, che sembrava quella della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche. Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una pedata.
Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla messa, né sul ballatoio, ché si era fatta sposa con uno di Licodia, il quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla.

I Malavoglia

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia, si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole.

Mastro-don Gesualdo

Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt'a un tratto, nel silenzio, si udí un rovinio, la campanella squillante di Sant'Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando: "Terremoto! San Gregorio Magno!"

Storia di una capinera

Monte Ilice, 3 Settembre 1854
Mia cara Marianna.
Avevo promesso di scriverti ed ecco come tengo la mia promessa! In venti giorni che son qui, a correr pei campi, sola! tutta sola! intendi? dallo spuntar del sole insino a sera, a sedermi sull'erba sotto questi immensi castagni, ad ascoltare il canto degli uccelletti che sono allegri, saltellano come me e ringraziano il buon Dio, non ho trovato un minuto, un piccolo minuto, per dirti che ti voglio bene cento volte dippiù adesso che son lontana da te e che non ti ho più accanto ad ogni ora del giorno come laggiù, al convento.

Una peccatrice

In una bella sera degli ultimi di maggio, due giovanotti, tenendosi a braccetto, passeggiavano pel gran viale del Laberinto che dovea trasmutarsi in Villa Pubblica, con quella oziosità noncurante che forma il carattere degli studenti e dei giovanotti che non hanno ancora le pretensioni di dandys.
Passeggiavano da quasi cinque minuti in silenzio, quando una signora, abbigliata con gusto squisito, appoggiandosi con il molle e voluttuoso abbandono che posseggono solo le innamorate o le spose nella luna di miele, al braccio di un uomo, anch'esso molto elegante, passò loro dinanzi; e lo strascico della sua lunghissima veste sfiorò i calzoni del giovane alto e bruno che stava a diritta, il quale non sembrò accorgersene.