Alessandro Manzoni - Citazioni

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Alessandro Manzoni
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Alessandro Manzoni

Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (1785 - 1873), scrittore e poeta italiano.

Indice

Aforismi di Alessandro Manzoni

  • Fu vera gloria? Ai posteri / l'ardua sentenza. (da Il Cinque Maggio)
  • I veri grandi spiriti davanti a Dio sono gli umili; Egli si manifesta più spesso e meglio attraverso la loro ingenua fede anzicchè attraverso la dottrina e gli orgogli degli uomini potenti ed elevati.
  • Il Dio che atterra e suscita, / che affanna e che consola. (da Il Cinque Maggio)
  • Il dubbio parziale e accidentale limita la scienza: il dubbio universale e necessario la nega. (da Osservazioni sulla morale cattolica, appendice al cap. III)
  • Il raziocinio è un lume che uno può accendere, quando vuole obbligar gli altri a vedere, e può soffiarci sopra, quando non vuol più veder lui. (da Dell'invenzione)
  • Il ritrattista è come lo scrivano, obbligato a copiare un manoscritto sbagliato senza poterlo correggere.
  • La disgrazia è una visita del Signore; è un dono, una ricchezza, quasi un privilegio.
  • La storia è una guerra contro il tempo, in quanto chiama a nuova vita fatti ed eroi del passato.
  • La vecchiaia è l'età della discrezione.
  • L'Arte è arte in quanto produce non un effetto qualunque, ma un effetto definitivo, è un vero veduto della mente per sempre.
  • Non sempre ciò che vien dopo è progresso. (da Del romanzo storico, parte seconda)

Adelchi

L'Adelchi è la seconda tragedia di Alessandro Manzoni, che fu scritta tra il 1820 ed il 1822.

Citazioni tratte dall'opera

  • Ad innocente opra non v'è: non resta / che far torto, o patirlo. Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto: la man degli avi insanguinata / seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno / coltivata col sangue; e ormai la terra / altra messe non dà.

Citazioni sull'opera

  • Ho per le mani un soggetto di tragedia al quale desidero dedicarmi senza indugio per terminarlo nell'inverno, se posso... è la caduta del Regno dei Longobardi, o per dir meglio della dinastia longobarda, e la sua estinzione nella persona d'Adelchi ultimo re con Desiderio suo padre. (Manzoni in una lettera a Claude Fauriel, 17 ottobre 1820)
  • Ella vede come son condotte senza alcun riguardo agli effetti; agli usi, al comodo della scena: molteplicità di personaggi, lunghezza spropositata, parlate inumane pei polmoni, e ancor più per gli orecchi, variazione e slegamento, pochissimo di quel che s'intende comunemente per azione, e un procedere di questa lento, obliquo, a sbalzi; tutto ciò insomma che può rendere diffìcile e odiosa la rappresentazione, v'è riunito come a bello studio. (Manzoni ad Attilio Zuccagni Orlandini, regio censore degli spettacoli a Firenze, aprile 1828)
  • Adelchi una Musa ce l'ha, perchè sembra che sia Dio a soffiargli nelle orecchie e nel cuore titanismo e passione. (Carmelo Bene)

I promessi sposi

I promessi sposi è il titolo di un romanzo di Alessandro Manzoni. La prima edizione è del 1827, quella definitiva del 1842.

Incipit

Fermo e Lucia

Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione: perché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale.

Edizione 1827

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia riviera di riscontro; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lasciano l'acqua distendersi e allentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.

Edizione 1840

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.

Citazioni tratte dall'opera

  • Di libri basta uno per volta, quando non è d'avanzo. (chiusa dell'Introduzione)
  • "Or bene," gli disse il bravo all'orecchio, ma in tono solenne di comando, "questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai." (Minaccia dei bravi a Don Abbondio; cap. I, 263 - 264)
  • La ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. (cap. I)
  • All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. (L'azzeccagarbugli a Renzo; cap. III, 128)
  • A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo. (cap. III)
  • C'è talvolta, nel volto e nel contegno d'un uomo, un'espressione così immediata, si direbbe quasi un'effusione dell'animo interno, che, in una folla di spettatori, il giudizio sopra quell'animo sarà un solo. (cap. IV, 138)
  • È uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi. (cap. IV)
  • Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti inutilmente. (cap. V)
  • Carneade! Chi era costui? - ruminava tra se don Abbondio seduto sul suo seggiolone. (cap. VIII, 1)
  • [Dio] Non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. (cap. VIII)
  • Per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento. (cap. XIII)
  • All'uomo impicciato, quasi ogni cosa è un nuovo impiccio! (cap. XVI)
  • Il delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte se non chi se ne ribella interamente. (cap. XX)
  • Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia. (cap. XXI)
  • Volete aver molti in aiuto? Cercate di non averne bisogno. (cap. XXV)
  • Con l'idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n'aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n'era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care. (cap. XXV)
  • Così quell'uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero corsi a gara grandi e piccoli a calpestarlo; messosi volontariamente a terra, veniva risparmiato da tutti, e inchinato da molti. (cap. XXIX)
  • Il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune. (cap. XXXII)
  • La collera aspira a punire: e, come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d'ingegno, le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi. (cap. XXXII)
    • L'uomo d'ingegno è Pietro Verri, in Osservazioni sulla tortura: Scrittori italiani d'economia politica: parte moderna, tom. 17, pag. 203.
  • Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi. (cap. XXXVIII)
  • Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. (cap. XXXVIII)
  • L'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sé altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di cambiare, appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima. (cap. XXXVIII)

Storia della colonna infame

Incipit

La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra d'un cavalcavia che allora c'era sul principio di via della Vetra de' Cittadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo), vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano, sopra la quale, dice costei nella sua deposizione, metteva su le mani, che pareua che scrivesse. Le diede nell'occhio che, entrando nella strada, si fece appresso alla muraglia delle case, che è subito dopo voltato il cantone, e che a luogo a luogo tiraua con le mani dietro al muro. All'hora, soggiunge, mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno de quelli che, a' giorni passati, andauano ongendo le muraglie. Presa da un tal sospetto, passò in un'altra stanza, che guardava lungo la strada, per tener d'occhio lo sconosciuto, che s'avanzava in quella; et viddi, dice, che teneua toccato la detta muraglia con le mani.

Citazioni tratte dall'opera

  • Noi, proponendo a lettori pazienti di fissar di nuovo lo sguardo sopra orrori già conosciuti, crediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile frutto, se lo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ogni volta, si rivolgeranno anche, e principalmente, contro passioni che non si posson bandire, come falsi sistemi, né abolire, come cattive istituzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle ne' loro effetti, e detestarle. (Introduzione)
Capitolo II
  • L'operar senza regole è il più faticoso e difficile mestiere di questo mondo.
  • È men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore.
  • Ciò ch'essi chiamavano arbitrio, era in somma la cosa stessa che, per iscansar quel vocabolo equivoco e di tristo suono, fu poi chiamata poter discrezionale: cosa pericolosa, ma inevitabile nell'applicazion delle leggi, e buone e cattive; e che i savi legislatori cercano, non di togliere, che sarebbe una chimera, ma di limitare ad alcune determinate e meno essenziali circostanze, e di restringere anche in quelle più che possono.

Voci correlate

Collegamenti esterni